Hâfez

Hâfez Il libro del coppiere
Poeta vissuto a Shiraz tra il 1320 2 il 1390, Hâfez è considerato il massimo poeta lirico della Persia musulmana.

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Nel suo ampio canzoniere molti ghazal (il genere metrico più praticato) sono dedicati al tema del vino, e sempre d’ambito enoico c’è questo poemetto Il libro del coppiere.

Non è contraddittorio che un poeta musulmano tratti della bevanda proscritta dalla religione islamica. Al contrario, sono diversi i poeti arabi a cantare ed esaltare il vino (come si vedrà con futuri ingressi nella rubrica). Tale celebrazione si sviluppa sotto due aspetti: da una parte c’è l’esaltazione dei piaceri materiali connessi con il consumo conviviale del vino, dall’altra l’ebbrezza assume connotazioni mistiche: il vino diventa il mezzo per raggiungere livelli di conoscenza spirituale altrimenti insondabili. Anche nel Libro del coppiere è presente questo vino mistico che permette di raggiungere quell’estasi indispensabile per avvicinarsi ai “misteri del mondo”, alle soglie del divino. Se la storia degli uomini (qui ricordata con diversi nomi di sovrani arabi e persiani) è transitoria, dice Hâfez, soltanto l’ebrietà, che terrena e mistica al contempo, può offrire una ragione di vita.

Vieni o coppiere, quel vino che l’estasi dona

e accresce ogni Grazia e Perfezione ci reca

a me versa, ché il cuore in amore ho perduto

e di questa e di quella più nulla raccolgo.

Vieni o coppiere, quel vino il cui forte riverbero

Messaggi dalla coppa rimanda a Jàmshid e a Khosròw.

Qui versa, ch’io racconti con flebile voce di canna

di quando fu Jàmshid, di quando fu Khosròw!

Vieni o coppiere, quel tuo vittorioso elisir

che con l’oro di Creso anche gli anni ci dona di Noè

qui versa, così che s’apra al tuo volto

la porta di vita più lunga e appagata.

Vieni o coppiere, quel vino pel quale la Coppa di Jàmshid

Si vanta di avere visioni sul mondo del Nulla

qui versa, che in virtù della Coppa, addentro

io sia come Jàmshid al mistero del mondo.

Di quest’antico convento racconta la storia

E un omaggio rivolgi ai sovrani primevi!

Non è forse questo mondo in rovina la casa medesima

che la reggia di Afrasiyâb un dì ebbe a vedere?

Dov’è il senno di Pirân che armate intere schiantava?

E dov’è Shidé, il bel turco dal pugnale terribile?

Non solo i castelli e le regge di costoro finirono al vento

nessuno sulla terra neppure ha ricordo delle tombe che avevano!

Quella stazione medesima è il deserto del mondo

In cui si sviarono gli eserciti di Salm e di Tur.

Ben disse Jàmshid dagli innumerevoli tesori e corone:

la casa del mondo val meno d’un chicco di grano!

Vieni o coppiere, quel «fuoco sacro» scintillante

che sotto la terra Zarathustra ricerca

a me versa, ché nella fede di noi ebbri e ruffiani

sono uguali gli adoratori del fuoco o del mondo!

Vieni o coppiere, quella vergine ebbra e velata

che ha preso a dimora la nostra taverna

a me donala, ché infamato io voglio il mio nome

guastato mi voglio dal vino e dalla coppa!

Vieni o coppiere, quel liquido che accende il pensiero

(se il leone bevesse, brucerebbe pur le foreste!),

qui versa, a che io vada pei cieli cacciando il Leone

e la rete rinserri sul vecchio Lupo del mondo!

Vieni o coppiere, quel vino che urì del paradiso

tagliarono con l’ambra odorosa degli angeli

qui versa, ché incensi nel fuoco io intendo bruciare

e le nari di Ragione appagare in eterno!

Versa, o coppiere, quel vino che dona Regalità

della sua limpidezza sarà testimone il mio cuore!

Versami quel vino, a che io libero sia da difetto

e nel Piacere il petto io levi d’un poco da fossa siffatta

se mia vera dimora è nel giardino degli spiriti celesti

perché quaggiù costretto io vengo al giogo del corpo?

Versami quel vino, e possa tu guardare in viso fortuna

guastami pure, e tu contempla il tesoro di ogni sapienza!

Io quegli sono che, prendendo la coppa tra le mani,

dentro al suo specchio contempla l’Essere tutto.

È in fondo all’Ebbrezza ch’io spiro parole regali

nella povertà sì, mi vanto di esser sovrano!

Nell’Ebbrezza m’è dato infilare la Perla dei Misteri

ché fuor di me stesso non posso celare un solo segreto.

Oh, quando Hâfez una canzone nell’Ebbrezza compone

Venere stessa gli presta dal cielo la voce del liuto!

(HÂFEZ, Il libro del coppiere, a cura di C. Saccone, Milano-Trento, Lumi, 1998)

Giovanni Casalegno

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