Shanghai “Chef” Express

Foto di Sabra Miroglio - Beijing 2004
Tanto per fornire un piccolo esempio, a fine 2007 in Cina si contavano più di 210 milioni di navigatori nella rete di Internet, a Shanghai come a Pechino spopolano i ristoranti italiani, nelle aste di Sotheby’s e Christie’s vanno forte le opere di artisti contemporanei cinesi e Vogue dedica sempre più spazio a stilisti cinesi come Shanghai Tang.

Torniamo un po’ indietro nel tempo e leggiamo che cosa scrive all’inizio del XIV° secolo ne Il Milione Marco Polo, primo viaggiatore occidentale in Cina.

E manucano tutte carne, così di cane e d’altre brutte bestie come di buone, che per cosa del mondo niun cristiano manicrebbe di quelle bestie ch’elli mangiano… Ancora sappiate che la magiore parte del Catai beono uno cotale vino com’io vi conterò. Egli fanno una pogione di riso e co molte altre buone spezie, e concialla in tale maniera ch’egli è meglio da bere che nullo altro vino. Egli è chiaro e bello, e inebria più tosto ch’altro vino, perciò ch’è molto caldo.

Più di venticinque anni fa la Cina entrò nella nostra famiglia grazie a mio padre che stabilì laggiù la sede dei suoi interessi imprenditoriali e così imparai a conoscerne alcune usanze alimentari che tornano sempre comode durante le conversazioni fra amici.

Ma mangiano anche le cavallette, serpenti e cervello di scimmia?

Quante sciocchezze si dicono e si pensano a proposito di una delle tre grandi cucine del mondo espressione di una delle più antiche e raffinate civiltà.

E’ vero che molto tempo fa mi capitò di vedere in un mercato rionale di Canton, tra le altre, anche le carni citate da Marco Polo messe in vendita come da noi si vende il pollame.

Così come è vero che un giorno, Gao Lei Lei, grande amica di famiglia, portò da Nanchino uno strano prosciutto che piacque molto anche al nostro golosissimo fox terrier Pippo per cui venne tacciato di cannibalismo!

Certo è che, data l’estensione geografica del Paese, anche la cucina cinese è molto varia e i suoi ingredienti cambiano secondo le latitudini e i climi.

Ad esempio al Nord e nella zona di Pechino prevalgono il grano ( e quindi la pasta) e le carni come l’agnello mentre al sud si cucinano soprattutto riso, pesce, verdure e frutta.

Vi sono poi le influenze mongole, le usanze delle famiglie benestanti e di quelle meno ricche.

Vi sono i piatti tradizionali e le mode contemporanee.

Il cinema ci viene in aiuto nel rappresentare la tradizione del passato e l’alta cucina moderna.

Nel meraviglioso film di Zhang Yimou Lanterne Rosse, tratto dal libro di Su Tong Spose e concubine ambientato nella Cina degli anni Venti, vi è una bellissima scena della prima cena cui partecipa la nuova moglie del ricco signorotto Chen, la Quarta Signora, interpretata da Gong Li. Secondo tradizione la donna ha il diritto di ordinare il cibo che preferisce.

– Non mangio carne – dice lei. – Che verdure ci sono oggi? – chiede il signor Chen al maggiordomo. – Ecco la lista del giorno: funghi odorosi, licheni muscosi, nidi di rondine, cavolfiore, funghi fritti, stufato vegetariano, verdure miste con salsa di soja e anche cuore di cactus – risponde il servitore. – Formaggio di soja e spinaci – sceglie la Quarta Signora. – E aggiungete germogli freschi di soja – ordina il padrone.

Nel film Mangiare bere uomo donna, Chu, un grande chef di Taiwan, mostra le sue arti in una celebrazione del gusto e un’ esaltazione dei sensi girate con la classe di Ang Lee uno dei registi orientali più acclamati e premiati. Primi piani di cibi affettati con maestria, cucinati con perizia, stufati,fritti e saltati con agilità, presentati con l’arte raffinata di una cultura attenta ad abbinare profumi, gusti e colori.

E’ difficile non sentire gli aromi e non avere l’acquolina in bocca di fronte a tanta eleganza e varietà.

Purtroppo dalle nostre parti è impossibile trovare ristoranti cinesi all’altezza di queste tradizioni.

Solamente le grandi capitali come Londra e Parigi offrono ristoranti capaci di fare vivere esperienze simili e gustare piatti della tradizione come l’anatra alla pechinese. Questa celebre prelibatezza è una proposta variegata di modi di cucinare ogni parte del pennuto che viene servita al vapore, fritta, saltata o laccata in salsa di soja infine sminuzzata in bocconi pronti ad essere pizzicati dalle bacchette perché le posate, vere e proprie armi che tagliano ed infilzano, in Cina non è considerato elegante portarle alla bocca.

Vi è stata nei secoli una grande diaspora che ha portato oltre 30 milioni di cinesi in giro per il mondo e i giovani cinesi emigrati di quarta generazione hanno ancora l’abitudine di frequentare le piccole botteghe del tutto simili a quelle della lontana madre patria per acquistare le specialità, i tè selezionati o i mooncake ,dolcetti tradizionali per la Festa della Luna.

Le amate tradizioni sono descritte in tanti film celebri a cominciare dal grande affresco di Bernardo Bertolucci L’ultimo imperatore dedicato ai riti della Città Proibita durante il regno di Pu Yi ultimo discendente della dinastia Ch’ing : celebre è la scena del pasto dell’imperatore insieme al suo educatore inglese in cui ogni portata viene prima “testata” dall’assaggiatore ufficiale che non solamente scongiura gli avvelenamenti ma pure esprime il suo parere di gourmet respingendo in cucina i piatti che non superano il “suo” giudizio.

In Addio mia concubina di Chen Kaige la descrizione della vita di due artisti dell’Opera di Pechino adorati dal pubblico include alcune raffinate perversioni tra cui quella culinaria di un brodo nel quale viene fatto scorrere il sangue di una tartaruga sgozzata in loco per l’occasione: un rito sacrificale per favorire la voce dell’attore che è l’ospite d’onore della cena.

Sempre Chen Kaige in Together apre il racconto con un banchetto in un ristorante di campagna il cui oste, Liu Cheng, è padre di un ragazzino che vuole diventare un violinista: l’allegria è generale perché i cinesi, come noi italiani, a tavola fanno tanto rumore, godono della compagnia e dei cibi e infatti, uno di loro dice del cuoco:

Liu Cheng viene dal nord ma sa cucinare bene i miei piatti preferiti del sud.

Ancora cinema e ancora Zhang Yimou in La strada verso casa in cui si racconta la toccante storia d’amore tra un maestro di scuola e una giovane ragazza di campagna: lei lo conquista con il suo pane al vapore, le focacce di cipolle, i ravioli e la zuppa che insieme alle altre donne del paese lascia ogni giorno nei pressi del cantiere dove gli uomini costruiscono quella che sarà la scuola. La loro sarà una storia d’amore di una vita intera, semplice, felice, raccontata attraverso gli occhi del figlio che ormai vive in città.

Le tradizioni, le storie del passato, le vicende di oggi o della Cina lontana ritornano spesso anche nei romanzi degli autori contemporanei, come ad esempio in Petali di loto e vestiti occidentali (Baldini Castaldi Dalai editore) di Pang-Mei Natasha Chang che nel raccontare la storia della zia Yu-i scrive:

Il primo giorno delle celebrazioni per l’anno nuovo, l’ottavo giorno della dodicesima luna, i cuochi delle tre famiglie si riunirono per preparare insieme il congee (porridge di riso), verdure speciali e un piatto tipico del Capodanno, minestra d’orzo con semi di loto. Tutti noi, con zii e cugini, eravamo seduti a banchettare al tavolo delle feste, quando mio fratello maggiore, il Primo Fratello, lasciò cadere accidentalmente la sua ciotola di riso. Questa si ruppe in sei pezzi. Dopo un momento di orrore generale, tutti, compresi i superstiziosi domestici, si adoperarono per consolare il primo Fratello, ripetendo – Non è niente, non è niente. – In realtà, il fatto che lui avesse rotto la sua ciotola di riso durante i festeggiamenti era una faccenda molto grave: in shanghainese il termine “ciotola di riso” suona come quello che significa “sfera di influenza”, quindi, nel rompere la sua ciotola di riso, il Primo Fratello aveva simbolicamente messo a repentaglio la sua sfera di influenza.

Simbologie significative nel cibo e nelle usanze a tavola dei cinesi che pure convivono con le mode contemporanee, con l’invasione di Macdonald e Starbucks, con chef italiani che governano tutti i grandi ristoranti stranieri di Shanghai e Hong Kong e che però possono anche essere esportate diventando delle mode, come è successo per il dim sum : involtini e ravioli ripieni di verdure, carni o crostacei, cotti al vapore e serviti in cestelli di bambù, un tempo consumati nelle case da tè o anche lungo le strade, oggi molto à la page nei cocktail di tutto il mondo.

Ogni tradizione cinese che si rispetti è fatta anche di tarocchi (no, non le arance siciliane ma i più volgari falsi o imitazioni): i cinesi imitano tutto anche i propri prodotti, come scrive Sang Ye in China Candid (Einaudi), una raccolta pubblicata nel 2006 e definita il volto non ufficiale della Cina contemporanea.

Prendiamo il tè di gelsomino,per esempio, un prodotto che conosciamo tutti. Il consumatore medio non è in grado di distinguere tra un buon tè di gelsomino e uno pessimo, anche se esistono nove livelli di qualità, dal Primo grado, il migliore, a scendere. In verità comunque, rispetto al Primo grado esiste un livello superiore, di qualità migliore: il Grado speciale, il quale è ulteriormente diviso in tre sottoclassi: Speciale, n.1, n.2 e n.3. C’è poi un grado ancora migliore: il Grado speciale superiore. A parte tutto esistono tè di qualità superiore a livello provinciale, ministeriale, nazionale, da esportazione, da fiera, e un’intera gamma di altre varietà che si considerano tè da selezione speciale, scelta speciale, qualità imperiale, qualità da banchetto nazionale e così via. Non importa che tipo di tè si compri, sono tutti pubblicizzati come la migliore qualità sul mercato. Ma nessuno di essi è davvero superiore alla media. Anche il tè che compri a cento yuan al barattolo è speciale solo per la confezione carina. La qualità del suo contenuto potrebbe equivalere a quella di una confezione da dieci yuan. Senza contare i tè di imitazione e di qualità inferiore. A quel punto le cose si complicano sul serio. Non c’è fine ai maneggi. Mi creda, è possibile staccare una foglia secca da un vecchio albero e venderla come tè.

Ne è passato di tempo dal 1932 anno di produzione del film Shanghai Express di Josef von Sternberg con la mitica Marlene Dietrich nel ruolo di Shanghai Lily che con la collega prostituta d’alto bordo Hui Fei (interpretata da Anna May Wong) viaggia in prima classe da Pechino a Shanghai durante la guerra civile. I due personaggi ispirarono gli autori Angelo Nizza e Riccardo Morbelli che nel 1936 pubblicarono I quattro moschettieri illustrato da Angelo Bioletto nel quale crearono la fanciulla Sciangai Lil che i quattro protagonisti trovano nelle prigioni cinesi dove, a seguito di una serie di picaresche e divertenti avventure, vengono rinchiusi.

Il pasto della sera non fu recato dal capocarceriere, ma dalla figlia, una cinesina di Sciangai, che somigliava tutta ad Anna May Wong. – Come ti chiami, o bel fiore di loto? – le sussurrò Aramis – Non posso dirti il mio nome, o straniero – rispose la fanciulla. – Io per te non debbo aver nome… Ti basti sapere che ti ho visto ieri mentre ti portavano qui. Io non debbo aver nome, per te! Debbo essere come il vento che gonfia le vele dei sampang sull’Hoang-Ho… Straniero, io lascerò la porta aperta per te. – Dopo dobbiamo richiudere? – l’interruppe il gagà preoccupatissimo. – Non è necessario. Guarda l’etichetta “Si chiude da sé”. Così dicendo posò il vassoio di lacca con le solite razioni di riso (sempre riso, porko Kan!) e uscì col suo passo flessuoso, ritmando coi piedi sugli zoccoletti a panchetta.”

Le figurine Perugina e Buitoni con i personaggi del libro diventarono molto popolari in quegli anni e molti ragazzini le collezionavano, tra questi anche mio padre che, come già detto, portò la Cina nella nostra casa con i suoi usi, la sua storia, le sue belle città, gli amici e i cibi. Un amore che forse nacque proprio dalla ciotola di riso di Sciangai Lil.

Luca Glebb Miroglio

Credits: Foto di Sabra Miroglio – Beijing 2004

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