L’alloro

alloro
Il poeta Giacomo Zanella nella sua lirica Egoismo e carità si rivolge all’alloro con espressioni poco lusinghiere, considerandolo inutile, per proseguire poi con un vibrante elogio della vite:

Odio l’ allòr che, quando alla foresta

Le novissime fronde invola il verno,

Ravviluppato nell’ intatta vesta

Verdeggia eterno.

Pompa de’ colli; ma la sua verzura

Gioia non reca all’ augellin digiuno ;

Ché la splendida bacca invan matura

Non coglie alcuno.

(vv. 1-8)

Dobbiamo, però, ricordare che quest’albero ha grandi meriti letterari e non è neppure del tutto inutile a tavola. Era infatti l’albero sacro ad Apollo, il dio della poesia e delle arti in genere, perché, come narra il poeta latino P.Ovidio Nasone nelle sue Metamorfosi (I, 452-567), il dio si innamorò perdutamente della ninfa Dafne, la quale per sfuggire alla sua passione, ottenne dal padre Peneo di essere trasformata nell’albero dell’alloro e poi acconsentì a che la sua pianta fosse sacra al dio, così le sue fronde divennero corona del nume e ambito premio per tutti i vincitori, anche quelli delle gare poetiche. E’ una vicenda mitologica che ha la sua straordinaria materializzazione scultorea nel gruppo marmoreo di Gian Lorenzo Bernini conservato alla Galleria Borghese di Roma.

Per capire a fondo questa vicenda mitologica e forse anche i suoi successivi sviluppi, bisogna ricordare che il laurus, come tutti i nomi di alberi, in latino è femminile, femminile come aura, l’aria, ma anche una ninfa, per cui l’invocarla da parte di Cèfalo, accaldato dalla caccia, suscita la gelosia della moglie Procri, come ci racconta sempre Ovidio. I due vocaboli si intrecciano nella fervida fantasia poetica di Francesco Petrarca anche con l’aggettivo aurea, in rapporto con l’oro, e così il lauro, ovvero l’alloro, diventa emblema e nome della donna amata (Giovene donna sotto verde lauro, XXX), in una trama in cui l’aura che ‘l verde lauro e l’aureo crine / soavemente sospirando move / fa con sue viste leggiadrette e nove / l’anime da lor corpi pellegrine. E questo è l’amore, un amore che vive di desiderio e di rimpianto, più che di verità, di Petrarca per Laura.

Ma bisogna arrivare alla lirica Ai lauri nel Poema paradisiaco di Gabriele D’Annunzio, perché questi alberi possano trovare un loro cantore, capace di elogiarli senza implicazioni mitologiche o emblematiche, ma solo per intessere con loro un dialogo gratificante al fine di riscoprire il suo innocente animo adolescenziale:

Lauri, che ne la grande ombra severa

accoglieste il pensoso adolescente,

parlatemi di lui, la prima sera.

Parlatemi di lui benignamente,

vecchi lauri, però ch’egli forse ode;

però ch’egli è lontano e pur presente.

Quanto v’amava il giovine custode!

E quante volte a la sua fronte amica

tendeste i rami in ascoltar la lode!

(vv. 1-9)

In cucina l’alloro è molto utile per insaporire sughi, arrosti, brodi di carni, ma può anche essere protagonista, ad esempio di un liquore, ottimo come digestivo, smentendo in qualche modo lo Zanella.

Liquore di alloro

Lavare ed asciugare con cura una quarantina di foglie di alloro, praticare delle incisioni con l’unghia o piegandole, per far meglio sprigionare l’aroma. Porle in un contenitore a chiusura ermetica di misura adatta con 4 dl di alcool puro. Lasciare in infusione al buio per 15 giorni. Scolare le foglie e mescolare l’alcool con 50 gr. di zucchero sciolti in 1 dl di acqua. Filtrare, imbottigliare e lasciarlo riposare una decina di giorni prima di assaggiarlo.

di Rosa Elisa Giangoia

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