Giosuè Carducci


Grande bevitore fu Giosue Carducci (1835-1907), il cui temperamento sanguigno doveva essere spesso alimentato dal sacro nettare. E, di conseguenza, è tanto il vino che scorre nelle sue pagine, soprattutto in poesie che nella forma del brindisi celebrano avvenimenti, persone o fatti storici. Quella qui proposta è di carattere più privato.

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Questo Brindisi funebre è stato composto nel 1875 e accompagna un momento di solitudine del poeta: Lidia (Carolina Cristofori Piva), l’amante, lo ha lasciato, tanti amici si sono allontanati e tanti cari (su tutti il figlio e il fratello) sono morti. L’invito a bere, che è soprattutto rivolto a se stesso, è un’esortazione a superare la tristezza estrema del momento, a scaldare il gelo del cuore causato dalla constatazione del tempo che passa e si sta portando via la giovinezza, l’amore e la felicità.

Su ’l viso de l’amore

La rosa illanguidì,

Senza lasciarmi un fiore

La gioventù fuggì.

Lo stuol de l’ore danza

Lontano omai da me:

Con esse è la speranza,

L’illusïon, la fé.

Gli affetti alti ed intensi

Cui fu negato il fin,

I desidèri immensi

Irrisi dal destin,

Tutti nel mio pensiero

Tutti sepolti io gli ho;

E al fosco cimitero

Custode fosco io sto.

Ma i nervi ancora ho forti:

Beviam, beviamo ancor:

Beviam, beviamo a i morti;

Con essi sta il mio cuor.

Sotto la terra nera

Giaccion ad aspettar;

La dolce primavera

Forse li fa svegliar.

Senton de i freschi venti

L’alito ed il sospir,

Senton fra l’ossa algenti

La verde erba salir.

Lo senti il dolce aprile,

Il sol lo vedi tu?

O pargolo gentile,

Solo tu sei laggiù?

Dal suo lontano avello

Ti parla, o fanciullin,

Il bianco mio

Dal bel castaneo crin?

Gli avi ne i giorni foschi

Ti vengono a cullar,

L’uno da i colli toschi,

L’altro dal tosco mar?

O sola e mesta al petto

La madre mia ti tien?

Riposa, o fanciulletto,

Sopra il fidato sen.

Beviamo. Ahi che nel cielo

Impallidisce il sol,

E mi circonda il gelo,

E si sprofonda il suol.

Come uno stuol di gufi

A vecchio monaster,

Tra gli umidicci tufi

Singhiozzano i pensier.

Per questo buio fondo

Chi è chi è che va?

Esiste ancora il mondo,

La gioia e la beltà?

Ne’ lucidi paesi

Ancora esiste amor?

Io giù tra’ morti scesi

Ed ho sepolto il cuor.

(G. CARDUCCI, Poesie, Milano, Garzanti, 1978)

di Giovanni Casalegno

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