tavole d'autore - storie d'arte e di cucina
Quanta vita racchiusa in una natura morta – quarta parte
Il pesce è da sempre cibo delle popolazioni mediterranee – Fenici, Greci, Romani – e perciò immortalato fin dalle origini nelle loro opere d’arte. Pitture murali di Pompei ed Ercolano ricordano come esso, assieme a molluschi e crostacei, fosse un cibo prelibato da offrire agli ospiti. Un curioso mosaico pavimentale (I sec. d. C.), dalla vigna Lupi di Roma (ora ai Musei Vaticani), detto “non spazzato”, riproduce i resti di un banchetto, tra i quali campeggiano diverse chele, alcune conchiglie, una lisca e delle code di pesce.
E’ col cristianesimo però che, al di là degli usi alimentari, il pesce diviene simbolo per eccellenza a rappresentare il Cristo. La parola greca “ichthus”, pesce, venne infatti intesa come l’acrostico della frase Jesus Xristos Theou Uios Soter, “Gesù Cristo figlio do Dio Salvatore”.
Una splendida tela di Diego Velázquez del 1618, Ragazza e due popolani a tavola, dietro un’apparente scena di genere all’interno di una taverna, si rifà ad un evidente simbolismo religioso. Il pesce essiccato al centro della tavola allude appunto al Cristo, il salino dorato alla sapienza divina, il frutto al peccato, il pane e il vino rosso, versato dalla fanciulla in un calice, ancora al corpo e al sangue del redentore.
Pesci e pani compaiono nella sospesa, geometrica e speculare mensa della Natura morta evangelica di Salvador Dalí (1952), tra i più sobri ed elevati inviti alla trascendenza dell’arte moderna.
Se in alcuni periodi della storia l’obbligo a mangiare di magro imposto dalla Chiesa cattolica raggiungeva il totale di duecento giorni nell’arco di un anno, ciò non impediva però ai nobili di deliziarsi con pesci pregiati, crostacei e molluschi. Oltre alle sensuali ostriche, delle quali abbiamo già parlato in un’altra rubrica, i crostacei in particolare assumono una doppia valenza simbolica: simbolo del peccato e dell’indecisione da un lato – per il loro deambulare – e della resurrezione dall’altro – per la presunta abitudine di rinascere cambiando carapace. Perciò, per quanto sontuosi, i crostacei esibiti nella Natura morta con astice e granchio (1643) del fiammingo Peter Claesz sono accompagnati, in un angolo, da un orologio che ricorda allo spettatore lo scorrere del tempo e invita a una lettura simbolica dell’immagine.
Al seducente, carnale richiamo delle rosseggianti Fette di salmone di Francisco Goya (1808-12) è impossibile non affiancare la Natura morta con cozze e gamberi di Vincent Van Gogh (1886), tinte accese che riassumono in un solo colore un intero dettato simbolico.
Concludiamo con una nota prettamente gastronomica ed una ludica. Innanzitutto la Natura morta con carpa e ostriche di Édouard Manet (1864), dove il calderone di rame che accompagna la composizione di pesci e ostriche sembra preludere alla preparazione della bouillabaisse, tradizionale zuppa di pesce della tradizione francese. Infine la giocosa quasi cartoonistica Natura morta con pesci di Pablo Picasso (1940) dove i pesci con occhi da fumetto sono affiancati da una scatoletta di sardine con tanto di chiavetta per l’apertura.
di Roberto Carretta e Renato Viola