Cibo e arte. I luoghi del cibo (1ª parte)

Leopardi degustava sorbetti, Mendelssohn rimirava dalle vetrine le luci romane che non esitava a riprodurre in pregevoli acquarelli, Goethe, Byron e Wagner vi sedevano avvolti dai loro pensieri… è il Caffè Greco di via Condotti, il secondo più antico d’Italia, dove i Futuristi, nel 1919, discussero le proprie idee con Picasso e Cocteau.

A Napoli, nel Caffè Gambrinus, D’Annunzio “dimenticava” spesso di pagare il conto.

Seduto ad un tavolino della Pasticceria Mazzara di Palermo, Tomasi di Lampedusa scrisse buona parte del Gattopardo

I luoghi del cibo, sono anche luoghi dell’arte, non semplici soggetti d’arte. Ai tavolini di bar e caffè, lungo i secoli, sono nate, si sono intrecciate, confrontate e contrapposte scuole letterarie, filosofiche, artistiche, politiche…

Il caffè pittorico per eccellenza però, assurto a simbolo metafisico, vampa gialla incastonata nella magia di una notte stellata, è quello dalla “Terrazza” in Place du Forum ad Arles dall’omonimo quadro di Van Gogh (1888, Otterlo, Rijksmueum Kröller-Müller).

Arles

A questo esterno si contrappone l’interno del Caffè di notte (1888, New Haven, Yale University Art Gallery).

Caffè di notte

Sempre ad Arles, al numero 2 di place Lamartine, c’è ancora oggi il caffè dell’Alcazar ritratto da Van Gogh a mezzanotte e un quarto, come ricorda l’orologio immortalato alla parete: avventori vinti dal sonno di fronte all’ultimo bicchiere di vino, il padrone del locale in piedi accanto al biliardo. Il pittore, che lo dipinse a settembre, viveva presso quel locale dal mese di maggio, lì incontrava il postino Roulin, il solo vero amico che ebbe in quel periodo, e al proposito scriveva al fratello Theo: “È un posto dove ci si può rovinare, si può impazzire, commettere delitti… Ho cercato di esprimere la potenza tenebrosa di un’osteria”. Ciò che traspare è soprattutto un senso di estrema solitudine.

Edouard Manet e Henri de Toulouse-Lautrec furono cantori dei Café Chantant: distinti borghesi in tuba seduti davanti a un bicchiere di birra, imponenti cameriere recanti boccali ricolmi, visi gaudenti, perduti, immemori – Manet, Angolo del Caffè Concerto, 1877 ca, Londra, National Gallery; Lautrec, Il signor Boileau al Café, 1893, Cleveland, Art Museum, nonché le sue celebri locandine – fino ai bevitori di assenzio, spettrale la picassiana Bevitrice (1901, New York, collezione privata). Il pittore spagnolo illustrò anche un menu del locale i “Quattro gatti” e si ritrasse seduto ai suoi tavoli sotto la scritta “si serve birra e si fa festa a tutte le ore”.

Tolouse-Lautrec Picasso

Il caffè si contrappone al salotto aristocratico, le classi sociali si mescolano, così le idee, il caffè è ritrovo d’intellettuali. Proprio il locale romano di Leopardi, Mendelssohn, Goethe è effigiato da Ludwig Passini in Artisti al Caffè Greco (1850 ca, Amburgo, Kunsthalle). Così il “Cafè Royal”, che fu uno dei centri della vita culturale inglese, compare nell’omonima tela di Charles Ginner (1911, Londra Tate Gallery).

Ludwig-Passini

Luogo di edonismo non solo letterario ma anche culinario, ritorna, con un protagonista che del dandysmo fu tra i massimi interpreti, nel dipinto Oscar Wilde al Cafè Royal (collezione privata) del contemporaneo Anthony Hearnden, sullo sfondo di una cena simbolica ispirata a quella leonardesca. Aperto nel 1865, il locale di Regent Street ha visto alternarsi sulle sua panche personaggi come Aubrey Beardsley, Henry Moore, Graham Greene.

Concludiamo con un inno alla Ville Lumière, la ridondante, vaporosa opera di Léon-Laurent Galand (1872-1960) Al bar Chez Maxim’s (collezione privata). Cappelli di piume e cilindro, cipria e baffi impeccabili per gli habitués del famoso locale dalle preziose decorazioni stile “nouille” con cui l’architetto Marnez l’abbellì nel 1899.

di Roberto Carretta e Renato Viola

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