Dopo un esilio volontario di sette anni, l’autore Alexandre Najjar rientra a Beirut, dove ritrova la famiglia e gli amici. Si rivede bambino, poi adolescente, durante una guerra che ha devastato il suo Paese. Con uno stile tanto serio quanto ironico e delicato si rammenta di fatti tragici e comici, atroci e commoventi: l’estetica della bomba, i franchi tiratori, l’amore a distanza, la coppa del mondo di calcio, gli ostaggi, la radio…
La scuola della guerra racconta in modo profondo e lieve l’esperienza di una guerra, potente paradigma di tutte le guerre.
La guerra è stata per me un insostenibile incubo, ma anche, una scuola di vita. Ernest Hemingway diceva che per uno scrittore, un’esperienza di guerra non ha prezzo. Voglio crederci. Senza la guerra, sarei un altro. Forse rimpiangerò per tutta la vita di non aver avuto una giovinezza tranquilla (avevo otto anni quand’è scoppiata la guerra, ventitré quando il cannone ha taciuto) e di aver spesso visto la morte troppo da vicino. Ma questi rimpianti, queste prove mi hanno fatto gustare la felicità in modo diverso.
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